Terapia a lungo termine con inibitori di pompa protonica: quali rischi comporta?

Gli inibitori di pompa protonica (PPI) hanno modificato la terapia delle patologie digestive acido correlate ed il loro utilizzo nel nostro Paese è in costante aumento.

L’uso estensivo dei PPI è spesso inappropriato e ha portato alla pubblicazione di studi che riguardano soprattutto le terapie prolungate e quelle prescritte ai pazienti anziani.

Il blocco prolungato della secrezione acida mediante PPI potrebbe alterare la flora batterica intestinale creando una predisposizione alle infezioni intestinali (soprattutto da Clostridium Difficile). Alcuni studi hanno evidenziato un aumento relativo del 27% del rischio di polmonite nei pazienti trattati con PPI, rispetto ai non trattati.

Un sempre più consistente numero di studi hanno documentato come l’utilizzo protratto di PPI sia un fattore di aumentato rischio di infarto del miocardio.

L’utilizzo di PPI è stato associato anche a squilibri elettrolitici, anzitutto ipomagnesiemia e iposodiemia, a rischio maggiore di fratture e di insufficienza renale ( studio condotto sugli ultrasessantacinquenni). Altrettanti studi sono stati condotti sulle interazioni tra PPI e altri farmaci, anche di comune impiego.

In conclusione, gli Inibitori di Pompa Protonica sono farmaci estremamente efficaci ma che vengono erroneamente considerati privi di potenziali rischi.

Di questi rischi dobbiamo essere consapevoli nel corso di terapie eccessivamente protratte e per quanto riguarda gli anziani.

Anzitutto va effettuata una diagnosi corretta (vietato il fai da te) che porti alla prescrizioni di tali farmaci solo quando effettivamente necessario; secondariamente la patologia per cui è stata fatta la prescrizione va monitorata nel tempo e sospesa quando non ritenuta più necessaria.

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  13 Marzo 2017

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