Crolla il mito dei grassi saturi.

Dal British Medical Journal Aseem Malhotra, cardiologo del Croydon University Hospital di Londra.

Grassi saturi? Niente paura.

Il burro, il formaggio e, perché no, anche la carne rossa non sono poi così dannosi per il cuore.

Però serve da subito un distinguo: i grassi saturi non sono i grassi trans, quelli che si ottengono aggiungendo idrogeno all’olio vegetale per non farlo irrancidire, prolungando la durata dei prodotti. I grassi trans, quelli dei fast food, della margarina, di patatine, crackers e biscotti, non solo hanno effetto ossidante alimentando i processi infiammatori e degenerativi, ma accrescono il rischio di malattie cardiache aumentando il colesterolo cattivo (Ldl) e riducendo quello buono (Hdl).

E’ vero che eliminando i grassi saturi e sostituendoli con olio di oliva si ha una riduzione del colesterolo cattivo. Peccato che ridurre i grassi saturi sembra tagliare solo la frazione A del colesterolo Ldl, fatta di particelle grandi, mentre la responsabile dell’aterosclerosi accelerata sembra la quota Ldl-B: particelle piccole, dense e sensibili ai carboidrati.

«Negli ultimi 30 anni negli Stati Uniti la quota di energia da grassi consumati è scesa dal 40 al 30%, ma l’obesità è aumentata» e la spiegazione secondo l’autore è che senza grassi il sapore del cibo peggiora, e l’industria alimentare lo “aggiusta” con lo zucchero, che predispone alla sindrome metabolica, un mix di ipertensione, disglicemia, aumento dei trigliceridi, bassi livelli di colesterolo Hdl e incremento del girovita. E nel 75% dei casi il colesterolo totale è normale.

Ma se i grassi saturi non sono poi così dannosi, cosa c’è dietro ai 4 milioni di europei morti ogni anno per malattie cardiache?

Per esempio, il rischio di malattia coronarica cala di pari passo all’assunzione di frutta e verdura, eppure solo pochi la consumano almeno tre o più volte al giorno.

Il pesce abbassa il rischio di malattia coronarica, eppure il consumo di pesce è lontano dalle dosi settimanali raccomandate.

Le fibre alimentari riducono la mortalità coronarica, eppure la dose media di fibre alimentari consumate non supera i 13-14 grammi giornalieri, neppure vicino all’obiettivo minimo di 18.

Il rischio di malattia cardiaca cala mangiando noci una volta a settimana, eppure pochi lo fanno.

E i cereali integrali? Spesso non si arriva a 16 grammi al giorno, mentre due porzioni giornaliere riducono del 26% il rischio coronarico.

E ultimo, ma non certo per importanza, l’esercizio: nonostante i suoi ben noti benefici solo 2 persone su 10 lo praticano tre volte a settimana, il minimo consigliato.

«È tempo di sfatare il mito dei grassi saturi nella malattia cardiaca, lottando contro i veri responsabili» 

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  29 Gennaio 2014

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